Il Cannone (o Monumento) è costituito da una scultura in bronzo, rappresentante un cannone austriaco, posto sul lato destro della via Casilina in direzione sud.

Storia del ‘900

24 ottobre 1924. Posa prima pietra Monumento ai Caduti

22 ottobre 1924. Posa prima pietra Monumento ai Caduti. Fonte: Album di Roma – Archivio privato

Il monumento venne costruito per volontà della parrocchia dei santi Marcellino e Pietro ad Duas Lauros in onore dei caduti delle famiglie del quartiere durante la prima guerra mondiale e inaugurato, con una solenne cerimonia, il 20 ottobre 1924, alla presenza di monsignor Bevilacqua, dopo una processione in onore della Beata Vergine del Rosario.

È posto a difesa del quartiere e della città da tutti i nemici provenienti dal meridione. Il 4 giugno 1944 anche la Quinta Armata Americana comandata dal generale Mark Clark.

22.10.1924 – Quotidiano “Il Popolo di Roma”

Oggi una lapide ricorda i caduti di tutte le guerre. Il monumento è composto da un cippo in travertino su blocchi di tufo, fra i quali emergono un cannone e materiali di marmo, decorati a bassorilievo. A terra poggiano dei basamenti in travertino e un frammento di colonna di porfido, provenienti dai materiali archeologici della Basilica Costantiniana di era parte il Mausoleo di Sant’Elena.

I soldati della prima guerra mondiale

26 nomi, in ordine alfabetico, ricordano 26 giovani vite spezzate dalla guerra. Molti nomi presentano errori di trascrizione che, in alcuni casi, compromettono la ricerca dei profili biografici. Inoltre la ricerca, condotta da Stefania Ficacci e Vega Guerrieri, non ha potuto rintracciare dati anagrafici completi per molti di questi soldati. Si tratta molto probabilmente di giovani soldati semplici, molti di loro originari di comuni laziali, umbri e marchigiani, le regioni di provenienza della maggioranza dei primi abitanti di Tor Pignattara e del Quadraro. Il monumento quindi sembrerebbe voluto dai familiari dei soldati caduti, ma non è dato sapere se questi giovani abbiano mai abitato in questi quartieri. Romani di nascita sono certamente i fanti Vincenzo Bellucci (muratore decorato con la croce di guerra, nato il 24 dicembre del 1895 e morto per ferite da combattimento il 19 ottobre 1915), Giuseppe Perticari (bracciante, nato il 4 marzo 1888 il 28 novembre 1915 presso Monte Boschini in provincia di Vicenza), Armando Pesciarelli (droghiere, nato l’8 ottobre del 1898 e morto per malattia in un campo di prigionia tedesco il 4 aprile 1918), Umberto (Alberto) Becchetti (contadino, nato il 14 maggio 1894 e morto a Cormons per enterite il 17 novembre 1915), Giuseppe Arvedi o Arveti (fabbricante di briglie, nato nel 1879 e morto a Bologna per malattia il 15 luglio 1917) e Massin (Masini o Masin) Lorenzo (muratore, nato il 9 agosto 1890 e morto il 16 luglio 1915 in provincia di Belluno). Di Giuseppe Rossi è molto difficile individuarne i dati biografici. Un soldato e un caporale di fanteria, entrambi romani, potrebbero essere i nominativi maggiormente accreditabili. Romano, infine, è il caporal maggiore Gionni Carmine (senza professione, nato il 13 luglio 1887 e morto presso la Dolina Aosta Faiti il 17 settembre 1917).

Dalla provincia di Roma, in particolare dalle campagne dei paesi lungo la via Casilina ma comunque residenti nella Capitale, provengono invece il ferroviere caporale Amadio Proietti Marianelli (nato a Poli il 14 agosto 1893 e morto il 26 settembre 1917 per le ustioni riportate in battaglia), il fante calzolaio Angelo Giovannetti (nato a Capranica Prenestina il 23 agosto 1885 e morto il 19 settembre 1916 presso l’ospedale di Treviso); il fante mugnaio Cesare Masci (nato a Palestrina il 7 giugno 1887 e morto il 18 febbraio 1917 in una dolina non specificata). Seguono i laziali non residenti, come i due bersaglieri, Giovanni Piergentili (indicato come Piergentili) (nato a Sacrofano il 6 gennaio 1886 e morto a Timau [UD] il 2 maggio 1916) e il giovanissimo bersagliere Natale Dattilia (nato a Genazzano il 29 marzo 1899 e morto il 1° febbraio 1918 per le ferite riportate in combattimento): è uno dei ragazzi del ’99, la leva dei giovanissimi chiamati nel 1917 a soli diciotto anni compiuti. Dalla Ciociaria provenivano invece il fante Rocco Colafrancesco (contadino, nato a Ceprano il 15 dicembre 1894 e morto sul Monte Podgora il 29 ottobre 1915) e il bersagliere, residente a Roma, Palmiro Recchia (nato a Valmontone il 28 marzo 1896 e morto sull’altopiano di Asiago, presso Roccolo d’Astoni, il 17 giugno 1916). Della provincia di Viterbo sono invece originari i fanti Augusto Gentili (nato a Bagnoregio il 4 settembre 1883 e morto sul Monte Spil sull’altopiano di Asiago il 3 ottobre 1916) e il fante infermiere Giuseppe Lucciola (nato a Capranica il 19 marzo 1890 e deceduto per malattia in un ospedale militare a Roma, il 16 maggio 1917).

A seguire i restanti soldati provengono dalle regioni limitrofe. Ci sono gli abruzzesi Antonio Pesce (soldato mitragliere nato a Sulmona il 5 marzo 1879, deceduto il 22 luglio 1917), il fante contadino, residente a Roma, Michele Tozzi (nato il 29 settembre 1896 a Roccadi Botte e morto sull’altopiano di Asiago l’11 luglio 1916) e contadino bersagliere umbro, trasferito a Roma, Anastasio Raffaelli (nato a Castel Viscardo il 21 aprile 1896 e travolto da una valanga sul monte Colbricon in Trentino il 13 dicembre 1916). Infine, il gruppo più consistente, è quello originario dei paesi della regione Marche. Residenti a Roma, erano però nati a Cagli [PU] il soldato decorato con la Croce di guerra Eugenio Agostini (1887- Zagora 1916) e forse Luigi Pierotti (1887-1915); a Pieve Torina [MC] erano nati i fratelli Falchetti Barnaba (1891-1916) e Venanzio (1888-1916) – quest’ultimo residente a Roma – morti in combattimento a 15 giorni di distanza; il giardiniere divenuto soldato bombardiere Giulio Luzzi (o Luzi) di Fermo (1887-1916); Giuseppe Quadrini (o Quatrini), originario di Apiro [MC] soldato di fanteria, del reparto zappatori, morto sul Monte Grappa, che a Roma viveva facendo il muratore.

Antropologia

Il “Cannone” di Tor Pignattara segna un pezzo di storia memoriale del quartiere ed è diventato toponimo dell’incrocio stesso (“Er Cannone”; “Ci vediamo al Cannone”).

Ancora oggi il Cannone segna il paesaggio urbano tra mille trasformazioni urbanistiche e demografiche; tuttavia oltre al suo valore di memoria storica è un luogo che può essere letto in controluce attraverso alcune immagini, nonché nelle rappresentazioni e nelle pratiche contemporanee. Una piccola storia delle immagini del Cannone ci aiuta a ripercorrerne alcuni mutamenti.

E’ infatti oggetto di cartoline a partire dagli anni Trenta, quando la migrazione in questo territorio proveniente da varie parti d’Italia e un forte patriottismo producevano evidentemente una richiesta di questo genere di “ricordi” e di testimonianze da inviare a parenti ed amici (chi spediva le cartoline del Cannone da questa parte della città, se non forse i nuovi residenti che immigravano qui da varie parti d’Italia?).

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Ma il Cannone lo scorgiamo anche in una rara fotografia degli anni Settanta, dove appare già de-sacralizzato rispetto alla sacralità della cartolina diventando luogo di giochi di strada di bambini del quartiere (nella fotografia si vede un gruppo di bambini che gioca a nascondino con uno di loro che fa la conta proprio sulla lapide dei caduti e altri bambini che si nascondono nelle vicinanze).

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Oggi, il Cannone resiste come monumento e nella toponomastica popolare, ma il suo carattere di icona vacillante del quartiere si percepisce quando si sente parlare alcuni anziani, i quali preoccupati e spaesati dai cambiamenti del quartiere esclamano: “Mo’ co’ sto macello toglieranno pure er cannone”.

Storia del cinema

Il Cannone è il set della scena finale del film Un borghese piccolo piccolo, capolavoro del maestro Mario Monicelli.

La scena in questione, indimenticabile e amarissimo finale, vede il Giovanni Vivaldi (interpretato magistralmente da Alberto Sordi) seduto su una panchina all’ombra del monumento. Scena ordinaria: bambini che giocano a calcio, mamme con figli, passanti. Ma la storia ha prodotto i suoi effetti sul personaggio trasformandolo nel profondo. Basta un insulto sguaiato di un ragazzo per far uscire il mostro in cui il protagonista s’è trasformato. Poche sequenze, secche e senza fronzoli. Giovanni entra in auto e inizia a seguirlo con aria minacciosa: il film termina così, lasciando intendere che la sua vendetta contro la società non è ancora terminata. Una fine che è il naturale epilogo di una pellicola che ritrate il tramonto degli anni d’oro del Belpaese.

Note sul film

Un borghese piccolo piccolo è un film del 1977 diretto da Mario Monicelli, tratto dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami, pubblicato nel 1976. Ritenuto tra i migliori film di Monicelli, fu presentato in concorso al 30º Festival di Cannes e si aggiudicò 3 David di Donatello e 4 Nastri d’argento. È da molti definito come la “pietra tombale” della stagione della Commedia all’Italiana, di cui proprio Monicelli fu indiscusso protagonista. Fortemente legato al contesto storico-politico degli anni settanta, Mario Monicelli costruisce un opera che abbandona la satira sociale e vira verso un registro drammatico, che destruttura la partitura narrativa cara alla Commedia all’Italiana. Un processo incarnato dal protagonista, Alberto Sordi, che da icona “comica” per eccellenza, viene trasformato in maschera tragica, simbolo di un’Italia che, secondo il regista, si è definitivamente consegnata alla rabbia e alla disillusione.

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