Per entrare nel campo sportivo Sangalli si dovevano superare le arcate dell’acquedotto alessandrino. Si entrava così in un campo polveroso di pozzolana. Un Circo Massimo su cui si affacciava la parte più povera delle Vigne Alessandrine, quella striscia di terra fra Tor Pignattara e Quadraro che rappresentava la contraddizione che sempre ha caratterizzato Roma: il trionfo dell’impero, con le arcate svettanti dell’acquedotto romano e le baracche dei borgatari, degli immigrati non desiderati, dei virtuosi dell’arte di arrangiarsi.

Il campo Sangalli

Il campo Sangalli – Foto tratta dal film “Il marito di Attilia”, di Dino Risi (1965)

Per 25 anni almeno il Campo Sangalli è stata una delle arene più frequentate del calcio dilettantistico romano, ospitando campionati di promozione e di Serie C, almeno dal 1948 al 1973, quanto fu chiuso. Un destino, quello del Sangalli, legato al borghetto a ridosso dell’acquedotto, che scompare dalla storia e un po’ anche dalla memoria, con la demolizione definitiva delle baracche e la riqualificazione dell’area in spazio verde pubblico.

La seconda guerra mondiale è da poco finita quando a Tor Pignattara si costituisce la Società Sportiva Torpignattara che deve contendersi i cuori dei tifosi locali con l’altra società sportiva presente, la Arco Juve. Nel 1948, a pochi mesi dalla promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana, le due società si fondono, dando vita alla Unione Sportiva Casilina (colori sociali giallo-rosso), disputando il campionato di promozione (corrispondente alla Serie D di oggi) 1949-1950 nel Girone I, scontrandosi con squadre laziali e con alcune romane molto note nel panorama calcistico della capitale: la U.S. Albatrastevere, la S.S. Almas, la GS Stefer Roma, la Romana Gas e la S.S. San Lorenzo Roma e sfiorando la promozione in Serie C (finisce al 4° posto).

Il campo Sangalli

Il campo Sangalli – Foto tratta dal film “Il marito di Attilia”, di Dino Risi (1965)

Il calcio attira al Sangalli pubblico e attenzione, ma anche il fiuto di un imprenditore di Capranica, il viterbese Pietro Neri che, lì vicino nell’area di Porta Furba, aveva aperto un secondo impianto per conquistare il mercato romano. Neri compra la US Casilina e costituisce la Società Sportiva Chinotto Neri, cambiando i colori sociali della squadra da giallo-rossi a giallo-verdi, inimicandosi non pochi romanisti. Neri porta soldi, compra giocatori, allenatore e preparatore atletico, conquistando la promozione in serie C nel 1951. Ma è un fuoco di paglia. L’anno successivo la squadra retrocede al campionato di promozione e solo nel 1957 la Chinotto Neri riesce a risalire in Serie C.

Gli anni della gestione Neri sono sì gloriosi, ma di fatto allontanano sempre di più la memoria del calcio dai quartieri di Tor Pignattara Quadraro e delle Vigne Alessandrine. Pietro Neri infatti trasferisce quasi subito la squadra al Motovelodromo Appio, dove disputerà quasi tutti i suoi campionati, fino a decidere la fusione della sua società con la FEDERCONSORZI, decretando di fatto la fine dell’avventura calcistica.

Quando il Campo Sangalli sembra destinato a diventare uno dei tanti campetti di periferia presi a noleggio per i campionati amatoriali, nel 1965 si fa avanti una nuova squadra la G.S. Certosa, nata al “bar della sora Palmira”, che vestirà i colori sociali nero e verde. 200.000 lire è il canone di affitto del Campo Sangalli per l’anno 1965-1966. Una cifra ben spesa, perchè il Sangalli diventa “la fossa dei leoni” del Certosa fino al 1973, quando il campo di calcio spegne i riflettori per sempre.

 

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