Molti bangladesi percepiscono e rappresentano la presenza della propria “comunità” nel quartiere di Torpignattara come positiva per un territorio che negli anni ’80 e ’90 viveva una fase di crisi, non solo demografica, ma anche economica e sociale, con la chiusura di molti esercizi commerciali e una pervasiva microcriminalità. La comunità bangladese si sta infatti radicando nel territorio con forme di vita sociale, economica ed associativa che sono da essi presentate come riqualificanti.

A definire questo processo è soprattutto la leadership bangladese che sta tentando di rifondare uno spazio urbano (con l’attribuzione di toponimi come quello di Banglatown) e di definire le linee di una missione politica della diaspora: riqualificare un territorio degradato ed inserirsi nella vita sociale italiana portandovi valori “tradizionali” (nazionali e religiosi) di “moralità” e “dignità”.

La diaspora diventa così un motore che “rifonda” lo spazio di approdo entro un’appartenenza nazionale. Contro le rappresentazioni fornite dai media che evocano spesso l’immagine dei banlieues e contro la nostalgia degli autoctoni per un quartiere “autentico” che oggi non è più, le retoriche della località prodotte dalla comunità bangladese sullo spazio abitato individuano chiaramente il ruolo positivo e riqualificante da essi esercitato su un territorio che è rappresentato in passato come disagiato, impregnato di piccola criminalità e scarsamente attivo sul piano commerciale. Viene fuori un’idea di “riqualificazione” urbana, sociale, economica e “morale” che si muove sostenuta da valori morali e culturali nazionali.

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