Tito Bernardini nacque a Orte (VT) il 24 aprile 1898, ultimo dei tre figli di Giovanni, ferroviere impegnato presso la stazione di Viterbo – città dove la famiglia si trasferì pochi anni dopo la nascita di Tito – e di Argentina Bassetta.

Come suo padre, Tito trovò lavoro come ferroviere addetto ai magazzini presso la stazione Termini di Roma. Qui si trasferì probabilmente sul finire del 1920 e fu in quel periodo che Tito Bernardini sposò Clementina Masella napoletana di nascita e probabilmente aderì alla cooperativa edilizia Termini, che proprio in quegli anni stava realizzando le case della città giardino Villa Serventi.

Con la presa del potere da parte del regime fascista e l’imposizione dell’adesione al partito da parte degli impiegati e operai statali, Tito Bernardini fu licenziato per ragioni politiche, perché ritenuto sovversivo in quanto aderente al partito comunista.

Dopo l’8 settembre si impegnò nell’attività clandestina militando nelle formazioni comuniste: scritte murali, diffusione di stampa, recupero di armi, colpi di mano. In particolare, partecipò con Angelo loppi a tre attacchi con bombe a mano e mitragliatori contro l’ambasciata tedesca. Certo è il suo contatto con il gruppo di Resistenza comandato dal brigadiere dei Carabinieri Angelo Ioppi, anche lui originario di Viterbo, conosciuto negli anni di residenza nella cittadina capoluogo della Tuscia, con cui è autore di numerosi attentati a fascisti e nazisti. La mattina del 7 marzo 1944, mentre era nel laboratorio di Domenico Viola in via del Vantaggio (nei pressi di piazza del Popolo), luogo deputato a deposito di armi, fu arrestato insieme ad altri ad opera di SS e di collaborazionisti italiani del gruppo Bernasconi e, prima di essere portato nel III braccio di Regina Coeli, fu recluso a via Tasso, dove fu condotto anche il fratello Valentino. Sottoposto più volte al giorno a violenze e torture, ebbe una frattura della spina dorsale con un colpo di spranga di ferro e i colpi agli occhi lo accecarono: tuttavia non cedette. Dopo l’azione partigiana di via Rasella fu inserito nella lista di coloro che furono destinati ad essere eliminati e ucciso alle Fosse Ardeatine.

Durante la prigionia nel carcere di via Tasso, le SS lo sottoposero a torture disumane, testimoniate dagli stessi compagni di detenzione. Il 24 marzo fu condotto alle Fosse Ardeatine tumefatto, senza un occhio e con tutti e quattro gli arti spezzati, legato quindi ad un asse e sorretto da due dei suoi compagni.

L’attuale sezione dell’Anpi di Orte è a lui intitolata, come una piazza nel comune medesimo.

Fonte: La ricerca è stata curata dai ricercatori Stefania Ficacci e Riccardo Sansone.

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