Indirizzo
Porta Maggiore
GPS
41.891425223517, 12.515219237179
Porta Maggiore sorge approssimativamente nella località denominata “ad Spem Veterem”, cioè “alla Speranza Vecchia”, nome derivante dalla presenza di un tempo dedicato a questa divinità.
In questa località convergevano ben otto acquedotti (degli undici totali) che alimentavano Roma e Porta Maggiore, originariamente, era la monumentalizzazione dell’Acquedotto Claudio, esattamente nel punto in cui questo scavalcava la via Labicana (attuale Casilina) e via Praenestina.
L’aspetto che assunsero le arcate configuravano un vero e proprio arco di trionfo, tanto che fu naturale la loro inclusione nel 272 d.C. nelle Mura Aureliane da parte di Aureliano e il loro utilizzo come Porta Praenestina o Labicana.
Realizzata in travertino, la porta è un grande arco a due fornici, con piloni forati da finestre, inquadrate da edicole con timpano e semi colonne in stile corinzio. Probabilmente deve il suo nome al fatto che da qui si passava per recarsi a Santa Maria Maggiore.
L’attico del monumento è suddiviso da marcapiani in tre fasce. I due superiori corrispondono ai canali d’innesto degli acquedotti “Anio Novus” (in alto) e “Claudio” in basso (che corrisponde alla fascia centrale).
Le iscrizioni visibili sull’attico (ripetute sulle due facciate), partendo dalla prima fascia in alto, sono di Claudio, Vespasiano (fatte per il restauro del ’71 d.C.) e infine, sul basamento, quelle di Tito per il restauro dell’82 d.C.
Negli anni 401-2, Onorio e Arcadio, decisero di creare un bastione fortificato più avanzato nel quale si aprivano due porte, la “Labicana” e la “Praenestina”. Le due porte erano rinforzate, a scopo soprattutto difensivo, da torri quadrate poste ai lati e da un bastione cilindrico al centro, ed erano sormontate da finestrelle ad arco, quattro sulla Praenestina e cinque sulla Labicana.
Questa struttura sopravvisse per 14 secoli e fu demolita solo nel 1838 per volere di Gregorio XVI, per ripristinare (come riportato in un’iscrizione presente sulla porta) l’aspetto aureliano. Lo smantellamento delle strutture difensive mise in evidenza l’ampiezza degli archi (circa 6 m di larghezza per 14 di altezza) e la criticità della loro difesa. Per tale motivo si provvide a restringere entrambi gli accessi con la costruzione di quinte merlate.
Nel corso dei restauri venne alla luce il sepolcro di M. Virgilio Eurisace (30 a.C), fornaio, e di sua moglie Atistia, che sino ad allora era rimasto inglobato nella torre cilindrica che Onorio pose tra i due archi.
Nel 1915 il Comune di Roma effettuò alcuni lavori di sistemazione del piazzale, demolendo la residua struttura voluta da Gregorio XVI. Solo nel 1956, grazie ai lavori eseguiti sotto la direzione dell’Architetto Petrignani, la porta tornò all’assetto originario, così come al livello originario tornò anche il livello del piazzale. I lavori portarono anche a riscoprire il basolato delle due consolari (sulle cui lastre cui ancora sono visibili i segni dei carri) e i resti dell’antiporta.
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